Qualche settimana fa, in un video trasmesso sulla tv nazionale libica, Fayez al-Serraj – il Primo ministro del Governo di accordo nazionale (anche conosciuto come Government of National Accord, o Gna) – ha annunciato le sue intenzioni di voler lasciare il suo attuale incarico nelle mani di una nuova autorità politica, nella speranza che questa sia in grado di trovare una soluzione tale da riportare stabilità e pace nel paese. Nonostante gli evidenti elementi di debolezza, al-Serraj è una delle poche figure ad aver tentato di porre fine alla crisi che ha colpito la Libia a partire dalla caduta del regime di Muammar Gheddafi nel 2011.
Dopo anni di scontri armati tra fazioni rivali, il paese nordafricano ad oggi è sostanzialmente diviso in due: da una parte il Gna con sede a Tripoli – l’unico governo riconosciuto dalle Nazioni unite – che controlla la regione della Tripolitania; dall’altra, l’Esercito nazionale libico (o Libyan National Army, Lna) guidato dal generale Khalifa Haftar, che ha stabilito un governo a Tobruk e domina la Cirenaica e buona parte del Fezzan. La “linea rossa” – come era stata definita dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi – che divide le due zone d’influenza va dal Golfo della Sirte fino alla base aerea di al-Jufra, nella Libia centrale. A seguito di forti pressioni da parte della comunità internazionale, alla fine dello scorso agosto i due contendenti hanno concordato un accordo preliminare, che prevede delle nuove elezioni entro 18 mesi e la smilitarizzazione dell’area circostante la città di Sirte – la zona di origine di Gheddafi – ritenuta di importanza strategica in quanto porta di accesso ai principali giacimenti petroliferi e terminali di esportazione del paese.
Le dimissioni di al-Serraj hanno colto di sorpresa tanto i libici quanto gli attori internazionali coinvolti nella crisi, nonostante le fughe di notizie avessero fatto già trapelare la voce qualche giorno prima del suo annuncio. Da tempo le tensioni all’interno del Gna di Tripoli erano sempre più evidenti. Era infatti in corso una lotta di potere che aveva contrapposto al-Serraj al ministro dell’Interno Fathi Bashagha. Lo scontro era arrivato al culmine il 29 agosto scorso, quando al-Serraj aveva sospeso – incolpandolo di aver mal gestito le rivolte popolari – il ministro Bashaga, mentre quest’ultimo si trovava in visita in Turchia insieme al Khaled al-Mishri, capo del Consiglio superiore di Stato. L’incontro (durato secondo alcune indiscrezioni circa tre ore) con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e con il ministro della difesa Hulusi Akar avrebbe infastidito non poco al-Serraj. Rimosso per la cattiva gestione durante le proteste del popolo libico, Bashagha era stato riammesso in seguito alle pressioni arrivate da Misurata, la sua città natale. Sebbene la situazione sembrava ritornata alla normalità grazie al reintegro di Bashaga, la lotta per il potere aveva mostrato la fragilità del Gna. Sia le strutture politiche che quelle militari sono formate da diversi gruppi e fazioni che si dividono in base al controllo del territorio, dell’affiliazione tribale, delle sponsorizzazioni estere e delle ideologie.
Mentre per alcuni analisti le dimissioni di al-Serraj rappresentano un passo procedurale per lasciare spazio al prossimo governo di unità nazionale – che dovrebbe formarsi dopo i colloqui in programma a ottobre (una sorta di Berlino 2) – per altri, invece, essa è il riflesso del fallimento del suo tentativo di rimanere al centro dei riflettori, nonostante la sempre più forte posizione di personaggi come lo stesso Bashagha o il vicepremier Ahmed Maiteeq, altro suo potenziale successore.
L’annuncio del capo del Gna potrebbe essere il risultato di forti pressioni esterne, soprattutto da parte degli Stati Uniti, volte a rassicurare alcuni partner contrariati dagli accordi che il governo di Tripoli ha firmato con la Turchia, e in particolar modo un accordo di demarcazione dei confini marittimi che ha creato tensione con molti paesi europei, Francia e Grecia su tutti.
Il ritiro dalla scena politica di al-Serraj – qualora dovesse avvenire realmente – aprirebbe la strada a un nuovo processo politico che potrebbe portare anche alla caduta di Haftar, ormai scaricato da quasi tutte le potenze straniere che fino a qualche mese fa lo sostenevano. L’uomo giusto per rimpiazzare il generale e assumere il ruolo di rappresentante della Libia orientale nell’immediato futuro potrebbe essere Aguila Saleh, attuale presidente del Parlamento di Tobruk, figura politica sempre più centrale e già interlocutore di spicco in molti salotti della diplomazia internazionale.
La successione di al-Serraj sarà determinata anche dalle pressioni provenienti dall’estero. È altamente probabile che il prossimo leader del Gna sia un uomo ben visto dalla Turchia e dal Qatar. Da questo punto di vista, tra i candidati più quotati spiccano Bashaga – anche se forse troppo sbilanciato verso la Fratellanza musulmana – o un altro uomo forte di Misurata, il già citato vicepresidente del governo di Tripoli, Ahmed Maiteeq, politico moderato apprezzato un po’ ovunque. Non è un caso che nei giorni scorsi il vice di al-Serraj sia riuscito a raggiungere un accordo con Haftar per la riapertura della produzione e delle esportazioni petrolifere. Un successo molto importante, in un momento in cui le proteste popolari stanno crescendo da Tripoli a Tobruk, e un risultato che conferma il ruolo di interlocutore di Maiteeq – l’unico esponente politico di Tripoli in grado di confrontarsi in maniera proficua con gli uomini della Cirenaica – e lo rende forse il candidato più forte ad assumere la leadership del Gna.
Bashaga, ha la sua base di potere nella sua città di origine – Misurata – e ha forte presa sulle milizie locali, protagoniste di primo piano negli scontri con l’esercito di Haftar. Il ministro dell’Interno ha accumulato molto potere durante la guerra civile del 2011 e l’assedio di Misurata da parte dello Stato islamico nel 2016. Come già notato, Bashaga ha anche forti legami con il presidente turco Erdogan, e la sua nomina all’interno del Gna è stata sponsorizzata proprio dal governo di Ankara. La sua influenza è cresciuta notevolmente dopo la firma degli accordi di cooperazione militare e marittima tra il Gna e la Turchia.
Un’altra figura da considerare è quella di Khalid Mishri, il capo del Consiglio superiore di Stato. Politicamente allineato alla Fratellanza, Mishri sembra avere anch’egli ottimi rapporti con i turchi. Se Maiteeq o Mishri assumessero la presidenza del Gna, questo implicherebbe anche una maggiore influenza russa in Libia, visti i buoni rapporti che entrambi stanno tessendo con Mosca. Ad oggi sembra che l’influenza della Turchia in Libia non sia destinata ad essere messa in discussione da un’eventuale dipartita di al-Serraj. Tuttavia bisogna tener conto del rischio che gli Emirati Arabi Uniti – tra i principali rivali di Erdogan e forti sostenitori di Haftar – tentino di perseguire una risoluzione militare della crisi.
Alla crisi politica del Gna di Tripoli va aggiunto il malessere popolare, che ha indotto molti libici a scendere in strada in tutte le principali città del paese. Un malcontento che ha carattere prevalentemente socioeconomico, fomentato dai continui blackout elettrici, dalla carenza di acqua potabile e dal blocco petrolifero imposto da Haftar lo scorso gennaio e continuato fino a pochi giorni fa, uno sviluppo che ha svuotato le casse statali.
Qualsiasi risposta da parte della comunità internazionale in relazione alla crisi precipitata dalle dimissioni di al-Serraj dovrebbe mettere al centro gli interessi del popolo libico. Ciò richiederebbe anche un maggiore impegno nel contrastare quei governi che, purtroppo, hanno finora anteposto i loro interessi specifici all’obiettivo generale una transizione politica verso una Libia stabile e sicura.
Mario Savina
[…] Sulle sponde del Mediterraneo, da anni, si sta giocando una partita complessa: quella per la stabilizzazione della Libia. Il conflitto è lontano dal concludersi a causa dei persistenti contrasti interni tra due fazioni rivali: quella del generale Khalifa Haftar, appoggiato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Russia, Egitto e Giordania (e con il quale anche la Francia si è mostrata propensa a cooperare) e quella del Governo di accordo nazionale, stabilito a Tripoli sotto l’egida delle Nazioni unite e sostenuto in particolare da Italia, Qatar e Turchia (guidato fino a poche settimane fa da Fayez al-Sarraj). […]
[…] dalle ostilità militari verso un processo politico, la situazione rimane a tutt’oggi incerta. Come detto in altre occasioni, all’interno del Gna di Tripoli è ancora aperta la lotta per il potere, il che potrebbe avere un […]